Brindisi Remo

(Roma 1918-Lido di Spina 1996) ottavo di undici figli, da Elisa Rebutti e da Fedele Brindisi, scultore abruzzese originario di Penne. Nel 1935 il diciassettenne Remo si reca a Roma dove frequenta per breve tempo i corsi di scenografia del Centro Sperimentale e le lezioni alla Scuola Libera di Nudo dell’Accademia di Belle Arti, e ottiene una borsa di studio per l’Istituto Superiore d’Arte per l’Illustrazione del Libro di Urbino.
Una volta diplomato si trasferisce a Firenze dove apre uno studio in via della Scala: è del 1940 la sua prima personale. Allo scoppio della seconda guerra mondiale è chiamato sotto le armi presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze. Dopo l’armistizio del 1943 rientra a Firenze e vive una pausa felice ritrovando gli artisti Felice Carena, Ardengo Soffici, Ottone Rosai. Fatto prigioniero dai tedeschi nel 1944, riesce poi a fuggire insieme all’amico Marcello Mastroianni, anch’egli topografo e compagno d’armi. Si rifugiano in clandestinità a Venezia fino al giorno della liberazione. Qui inizia un sodalizio con Carlo Cardazzo, che gli assicura un intensa attività espositiva, specie presso la propria Galleria Il Cavallino. Nel 1947 si trasferisce a Milano, dove Cardazzo ha aperto la Galleria Il Naviglio presso la quale Brindisi esporrà per molti anni. Dal clima culturale milanese del dopoguerra, ricco di scontri e incontri, manifesti, sperimentazioni, riceve stimoli innovatori: nella polemica tra realisti e astrattisti in corso negli anni ’50, Brindisi si schiera aderendo al Gruppo Linea con Dova, Kodra, Meloni, Paganin, Porzio, Quasimodo, Joppolo, Tullier. Nel 1950, dopo lo scioglimento del gruppo Linea, si accosta al movimento del realismo. Ma in seguito la sua mostra antologica al Padiglione d’Arte Contemporanea del Comune di Milano diviene motivo per una accesa polemica sul realismo, condotta sulla stampa da Giorgio Kaisserlian e Mario De Micheli, che lo vede contrapposto a Guttuso e che in concreto segna la sua rottura con il movimento.

Tra il 1956 e il 1961 lo stile dell’artista subisce una svolta verso modi espressivi che lui definisce “Nuova Figurazione”: è l’avvio dei grandi cicli storici improntati all’impegno civile, composti da tele di grandi dimensioni come la Via Crucis, quelli sulla Storia del Fascismo e sulla Resistenza, su Il Processo al cardinale Mindszenty e sull’Abbattimento del mito di Stalin. Cantore epico dei miti e dei drammi storici del nostro tempo, con questi cicli approfondisce l’impianto architettonico dell’immagine e in seguito si volge con maggiore decisione all’informale in senso del tutto strumentale per le esigenze di un espressionismo intenso e dai toni ombrosi. E’ forte il richiamo dell’Europa e dell’America artistica emergente. Brindisi viaggia di frequente e risiede per lunghi periodi a New York e a Parigi: gli incontri con i massimi esponenti dell’arte e della cultura, in particolare dell’Esistenzialismo e dell’espressionismo astratto, sono occasione di stimoli per la sua ricerca su quell’Uomo Nuovo, volitivo e spietato, che si colloca prepotentemente nella società disumanizzata dalla superciviltà delle macchine.
La sua poetica ha avuto due principali registri: da un lato i ricordi bucolici della terra d’Abruzzo con le sue bianche greggi e i solenni pastori, lo splendore orientale di Venezia e la sacralità delle figure femminili, come segno nostalgico di una umanità perduta; dall’altro la struggente cronaca dell’eterno dramma del dolore, la bestialità della sopraffazione dell’uomo sull’uomo, la costrizione dell’uomo moderno in una vita innaturale ed opprimente.
Amante nostalgico della più antica espressione della memoria fantastica dell’uomo - Il puro segno - Brindisi ha raggiunto un altissimo livello estetico anche nel disegno e nell’incisione.