Marcucci Mario

(Viareggio 1910- 1992)refrattario a qualsiasi inserimento nelle correnti d’arte del nostro secolo, ha mantenuto un personale linguaggio pittorico e un appassionato scambio con poeti, letterati ed artisti divenendo così una figura emblematica del ‘900, un artista complesso che ha svolto la sua ricerca in più direzioni nell’ambito della figurazione e della pittura tonale. Marcucci si pone essenzialmente in quella sfera artistica vicino a De Pisis, Rosai e Morandi, da cui si allontanò solo per un breve periodo - alla fine degli anni quaranta – per confrontarsi con le suggestioni del Cubismo. Importantissima nella sua formazione fu l’amicizia con il poeta Luca Ghiselli, suo coetaneo, prematuramente scomparso nel 1939. Agli inizi della guerra entrò in contatto con gli Ermetici fiorentini. Durante la sua carriera ottenne numerosi riconoscimenti (nel 1941 vinse il Premio Bergamo; poi il Premio Marzotto nell’ambito della Rassegna di pittura italiana di Venezia; il Premio 8x10 di Roma nel 1951, il Premio Michetti nel 1953 e il Fiorino nel 1954) e partecipò a numerose esposizioni fra cui alcune edizioni della Quadriennale Romana e della Biennale di Venezia. Nel corso degli anni cinquanta soggiornò a più riprese a Roma, si trasferì poi a Firenze, dove rimase fino al 1966, anno in cui fece ritorno definitivo nella città natale. Questo periodo segna indubbiamente anche la fase più alta della sua ricerca pittorica con la creazione di alcune delle sue opere più belle, importanti e significative.Diventato quasi completamente cieco, dalla metà degli anni Ottanta smise di dipingere.Il primo, e ancora oggi, fra i più autorevoli esegeti, ad occuparsi di lui è Alessandro Parronchi, a seguire Cesare Garboli e Roberto Tassi.Il linguaggio di Mario Marcucci si è sviluppato attraverso l’indagine e la rappresentazione del paesaggio della sua terra natale fatto di mare, barche e pineta; attraverso la particolare luce del luogo ha affinato la sua ricerca analizzando e indagando tutte le possibili variazioni del linguaggio del colore come mezzo per catturare le sembianze del reale, con il quale ha rappresentato nature morte, ritratti e autoritratti di grande valore e suggestione.Il colore era una sorta di ossessione per l’artista, che lo ho condotto ad una sterminata produzione di oli e acquerelli eseguita su tutto quanto gli capitava sotto mano, fogli di giornale, pagine di libri, legni di ogni genere, coperchi di barattoli di latta, cartoni, tele… tutto poteva essere utilizzato e l’enorme quantità di dipinti che ha lasciato lo testimonia.La fortuna critica di Mario Marcucci è segnata da alterne vicende ed è rimasta principalmente legata alle testimonianze dei poeti e dei letterati che sono stati i suoi principali esegeti. La mostra di Lucca intende riportare all’attenzione del pubblico e degli studiosi un artista molto particolare nell’ambito del ‘900 italiano, coinvolgendo questa volta nella riflessione soprattutto storici d’arte.La mostra ha fra i suoi obiettivi porre in evidenza alcune questioni e alcuni interrogativi sul ruolo e sul senso che un’arte come quella di Marcucci ha avuto “per gli uomini nel ‘900”, un artista rimasto così prepotentemente estraneo sia alla furia iconoclasta del secondo dopoguerra ma anche a qualsivoglia altra necessità teorica e ideologica.Un artista che ha trovato nella pittura – nella rappresentazione attraverso il colore del “quotidiano” - una solido natante con cui navigare attraverso le tragedie del ‘900.